giovedì 23 aprile 2020
Prime ammissioni del governo. Identificato il motopesca che ha respinto i profughi. Ecco le foto. Tra accuse di contrabbando e passaggi di bandiera
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Una flotta fantasma di navi libiche manovrate da Malta per compiere i respingimenti di migranti. Stavolta la conferma arriva direttamente da fonti governative de La Valletta, che davanti alle denunce delle Ong, alle inchieste di Avvenire rilanciate dalla stampa maltese, e dopo l’indagine aperta contro il premier Robert Abela per la morte di 12 migranti, ha risposto parlando di “cooperazione con i pescatori libici per rendere più capillare il soccorso in mare”. Una “cooperazione” che va avanti da mesi e che non era mai stata rivelata prima d’ora.

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Al centro, il motopesca senza nome né codice internazionale, utilizzato per soccorrere 56 superstiti, abbandonati alla deriva per cinque giorni: 5 sono poi arrivati cadavere a Tripoli, altri 7 sono dispersi in mare. “Potevano essere tutti salvati”, ha ribadito nei giorni scorsi l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Ora quel peschereccio ha un nome. E una storia tutta da raccontare.

Mentre Malta si ostina non rivelare il nome del peschereccio libico, Avvenire ha rintracciato il mezzo navale, ricostruito i controversi passaggi di proprietà e ottenuto una risposta da Frontex, che attribuisce le responsabilità alle autorità marittime dei singoli Paesi sulle sponde del Mediterraneo.

L’intervento di recupero dei migranti è avvenuto quasi all’alba di mercoledì 15 aprile. Dopo tre giorni di attesa senza cibo sulle spiagge libiche, i 63 profughi erano salpati nella notte tra il 9 e il 10 aprile da Garabulli, 50 chilometri a est di Tripoli. A lungo Alarm Phone con Mediterranea e Sea Watch avevano chiesto un intervento. Appelli caduti nel vuoto per cinque giorni, tra scaricabarile e omissioni. Eppure le forze navali europee sapevano tutto fin dal primo momento. Rispondendo ad Avvenire, l’agenzia europea per la protezione dei confini scrive: “Nel corso dei voli di pattuglia durante il fine settimana (dunque tra il 9 e l’11 aprile, ndr), gli aerei di Frontex hanno individuato diverse imbarcazioni in pericolo. In linea con le convenzioni internazionali, abbiamo avvisato tutti i competenti centri nazionali di coordinamento per il salvataggio marittimo (Mrcc) nell'area”, spiega un portavoce con una nota scritta. In altre parole Frontex aveva allertato i comandi delle operazioni navali di soccorso a Roma, La Valletta e Tripoli. “In base al diritto internazionale - si legge ancora -, essi, non Frontex, sono le uniche entità responsabili del coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio”.

Affermazione confermata anche dallo studio dei tracciati aerei svolto dal giornalista Sergio Scandura, di Radio Radicale e poi sovrapposti nell'infografica di Mauro Seminara, direttore di "Mediterraneo Cronaca". Il percorso del volo Frontex coincide, nelle posizioni di perlustrazione e negli orari alle localizzazioni dei barconi indicate da Alarm Phone.

La portata di questa precisazione potrebbe avere ricadute pesanti nel procedimento giudiziario contro il premier maltese, accusato da varie organizzazioni civiche di avere responsabilità nella tardiva missione di soccorso. Ma potrebbe essere utilizzata anche da giuristi che già stanno preparando cause legali presso i tribunali internazionali.

“La Corte Europea per i Diritti Umani ha già condannato Italia e Malta per il loro ruolo criminale in simili respingimenti illegali in Libia in vari casi, ma ora - osserva Giulia Tranchina, avvocato specializzato nel Diritto d’asilo e dei migranti per lo studio "Wilson Solicitors” di Londra - alla luce anche delle continue e recenti prove di connivenza e complicità con trafficanti e torturatori libici, si potrebbe anche prefigurare una responsabilità in crimini contro l'umanità”.

Malta prova a giustificarsi affidando a un servizio della televisione di Stato, controllata dal governo, una claudicante spiegazione. Ammette l’esistenza di un patto con Tripoli e diverse imbarcazioni commerciali, ma a fin di bene. “Il governo maltese ha già preso accordi in modo che, se necessario, le barche private possano aiutare con il salvataggio dei migranti”, spiega la rete Tvm attribuendo le informazioni direttamente all’esecutivo. Rispondendo ad alcune domande dell’emittente un portavoce del governo “ha dichiarato che Malta stava coordinando l'operazione di soccorso del barcone alla deriva in modo che i migranti possano essere salvati anche usando barche private”. Sempre secondo l’esecutivo, si tratta di “una procedura normale contemplata dalla Convenzione di ricerca e salvataggio del 1979”. Curiosamente, la cooperazione con le “imbarcazioni private” coordinate da Malta esclude le navi delle organizzazioni umanitarie.

Questa volta La Valletta si è avvalsa di almeno un motopesca. Un peschereccio che in Libia è stato registrato con due diversi nomi, ma che sui registri internazionali risulta essere il Maye Yemanja (Codice Imo: 7027459) varato nel 1970 e attualmente sotto bandiera libica. Le foto non mentono. Su un sito specializzato, si trovano alcuni scatti del 2011, quando l’imbarcazione batteva bandiera maltese ed è ben visibile il nome e il codice Imo verniciati sulle fiancate e a poppa. Nelle immagini dello sbarco a Tripoli, invece, l’imbarcazione appare completamente anonima.

“Durante il fine settimana di Pasqua, il Mae Yemanja era a Marsa, nel Grand Harbour di Malta”, ha ricostruito il giornalista d’inchiesta maltese Manuel Delia, secondo cui il motopesca si trovava nel principale porto maltese ed è uscito al largo nella serata di martedì 14 apparentemente senza destinazione. Dopo avere manovrato in uscita dal porto “il Mae Yemenja ha spento il suo localizzatore”, spiega Delia. Riapparirà sulla scena a Tripoli, nella tarda mattinata di mercoledì 15 aprile, con il carico di 51 superstiti e cinque migranti morti durante la navigazione.

Buona parte del suo mezzo secolo il motopesca l’ha trascorso a Malta. E qui che è stato immatricolato e fino al 2019, prima di passare a una società registrata in Libia, apparteneva a una compagnia maltese riconducibile a Carmelo Grech, uomo d’affari che a La Valletta tutti conoscono come Charles. Nel recente passato Grech è uscito indenne da indagini sul contrabbando, cavandosela anche in Libia dove nel 2015 venne trovato con 300mila euro in contanti. Inizialmente La Valletta promise un’inchiesta per capire cosa ci facesse in un Paese in guerra con tutti quei contanti. Poi, come spesso accade nelle cose maltesi, più nulla. Di lui si era occupato anche Daphne Caruana Galizia, la giornalista uccisa con un attentato dinamitardo il 16 ottobre 2017. Scrivendo di Grech, nel 2015 Galizia aveva ricostruito il vortice di interessi societari dell’imprenditore. Un anno fa Grench ha ceduto il motopesca a una compagnia libica che continua a usarlo sulla rotta sulla rotta La Valletta-Tripoli.

Il governo di Malta non ha precisato come intenda ripagare le navi private a cui chiede impegnativi cambi di rotta per respingere i migranti verso la Libia. Nei giorni scorsi, quando il ministro degli Esteri Maltese, Evarist Bartolo, ha chiesto all’Europa 100 milioni di euro da versare alla Libia, una nave maltese è arrivata a Tripoli su incarico del governo. Trasportava 30 tonnellate di cibo e acqua “come parte degli aiuti umanitari per i migranti”. Quei profughi che nel frattempo sono tornati ai soprusi dei campi di prigionia libici, grazie al “soccorso” e al rimpallo di responsabilità tra i Paesi europei coinvolti.

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