26 novembre 2019 - 08:19

Bologna, l’odio, le sfide dell’oggi. Zuppi: «Identità nelle diversità»

Le stragi del passato, il futuro (di accoglienza): contro il sovranismo e la paura

di Marina Amaduzzi

Il cardinale Matteo Maria Zuppi Il cardinale Matteo Maria Zuppi
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Esce oggi nelle librerie, ma fa già discutere. Animatamente. È il libro Odierai il prossimo tuo che Matteo Maria Zuppi ha scritto insieme a Lorenzo Fazzini per Piemme Edizioni. Un testo che è un manifesto del pensiero dell’arcivescovo di Bologna, creato cardinale da papa Francesco lo scorso 5 ottobre, e che arriva come un terremoto sulla campagna elettorale per il voto del 26 gennaio in Emilia-Romagna. Il convitato di pietra è Matteo Salvini e il suo sovranismo tanto che ieri Il Giornale gli ha dedicato un articolo dall’eloquente titolo La Chiesa a gamba tesa su Salvini: arriva il manifesto anti sovranista (al momento commenti dei leghisti più direttamente coinvolti nella tornata elettorale non si registrano).

L’incontro con Salvini

Zuppi e Salvini si sono incontrati il 14 novembre, il giorno del comizio del leader leghista al PalaDozza. Cosa si siano detti non si saprà forse mai, ma è certamente noto il pensiero di Zuppi contro il linguaggio che incita l’odio, contro la politica dei porti chiusi, contro le guerre agli immigrati, contro i sovranismi. Tutti temi che tornano nei colloqui che hanno poi originato il libro dal sottotitolo Perché abbiamo dimenticato la fraternità. Riflessioni sulle paure del tempo presente. Con un invito esplicito, rivolto a tutti, credenti e non: «Alimentare l’umanesimo», uno sforzo cui possiamo «tendere insieme, se viviamo quotidianamente l’arte del dialogo a vantaggio di tutti». Avendo come barra la Costituzione, in primis i principi fondamentali che offrono la cornice civile. «Con questo punto di riferimento — si legge nel libro —, il dibattito sulle politiche per le migrazioni ridotto alla povertà di quattro parole – “porti chiusi”, “porti aperti” – mostra tutta la sua povertà, il corto respiro di una non-strategia, difensiva e lontana dall’essere risolutiva. Lo si è verificato anche a proposito degli ingressi controllati sul territorio nazionale, quando, mentre si creava pathos su singoli approdi di alcune decine di profughi attraverso l’intervento di qualche ong , molti di più comunque arrivavano sulle coste meridionali, senza fare notizia».

«Bologna, città ferita dall’odio»

Questi temi riempiono anche le quindici pagine del sesto capitolo dedicato a «Bologna, città ferita dall’odio». Una città, spiega Zuppi, che porta nella memoria «le stigmate» dell’odio. E cita la strage di Marzabotto, le uccisioni nel cosiddetto «triangolo rosso» dopo la seconda guerra mondiale, Ustica, la bomba alla stazione, la Uno Bianca, San Benedetto Val di Sambro. Una città, evidenzia ancora l’arcivescovo, «dove la risposta, anche a distanza di anni, è quella della solidarietà, della ricerca della giustizia». E non sempre è facile rielaborare la sofferenza senza sviluppare odio. In alcuni casi, racconta Zuppi, sono stati gli stessi protagonisti che hanno sconfitto l’odio. E cita i parenti delle vittime di Marzabotto, «che non hanno voluto identificare nei “tedeschi”, cioè in un popolo intero, i responsabili delle carneficine naziste». In altri casi invece, quando è ancora forte e vicino il senso di rabbia e il dolore, arrivare al perdono diventa più difficile. Così per Ustica, il 2 Agosto, la Uno Bianca. «Che significato ha, di fronte a vicende così drammatiche, il perdono? Si deve perdonare o si può perdonare? Il perdono è buonismo da anime candide?». E ancora «che senso ha la giustizia? Che rapporto c’è con il perdono?». «La giustizia — spiega — è necessaria perché senza di essa il rischio che l’odio produca di nuovo i suoi frutti e che si cristallizzi è sempre presente». Perché l’odio si sconfigge «con rispetto a tolleranza, con la ricerca coraggiosa della giustizia».

Il futuro della città

Zuppi guarda anche al futuro di Bologna, «città abitata da sessantamila persone di cittadinanza straniera», stranieri e immigrati «a volte identificati come un pericolo, percepiti come un rischio per la nostra esistenza». «La loro presenza — prosegue il cardinale — viene facilmente bollata come un’invasione. Si tratta di una convinzione sciocca, basata su un ignorante e acritico “meno siamo, meglio stiamo”». «Il futuro — dice — è aprirsi alla diversità sotto casa senza perdere la propria identità», perché «le chiusure ci costringono a essere solo villaggio». Per diventare «una comunità aperta» e puntare a una «globalizzazione dell’incontro tra culture e una globalizzazione spirituale». «I sovranismi — affonda Zuppi — sarebbero una soluzione per correggere la globalizzazione. Mi sembra una semplificazione ingenua, se non fosse creata e sostenuta da forze e persone tutt’altro che ingenue, e pericolosa, perché spinge in direzioni contrarie alla soluzione dei problemi di cui vorrebbe essere la risposta. L’enfasi sulle frontiere ha troppo in comune con le ossessioni dei nazionalismi che hanno avvelenato il secolo scorso con due guerre mondiali e il paganesimo della superiorità della razza». La strada per lui è una sola, quella dell’umanesimo.

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